martedì 18 novembre 2014

Pessimismo verghiano

Sotto gli influssi del realismo europeo e del naturalismo francese, si sviluppa nella seconda metà dell’ottocento il verismo italiano, di cui Verga è il massimo rappresentante, sia pure con caratteri molto diversi rispetto agli autori del tempo.
Il Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita.Egli pensava che tutti gli uomini sono sottoposti ad un destino impietoso e crudele,che li condanna non solo all’infelicità e al dolore,ma anche ad una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare,sociale ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto ,non trova la felicità sognata,anzi va immancabilmente incontro a sofferenze maggiori come succede a ‘Ntoni nei Malavoglia e a Mastro don Gesualdo. Verga non  crede nella possibilità di un qualsiasi cambiamento o riscatto,per cui all’uomo non rimane altro che la rassegnazione eroica e dignitosa al suo destino. Verga descrive la realtà sociale dell’epoca delle classi sociali più svantaggiate, non per denunciare ma per prendere atto della presenza immodificabile del Male nel mondo. Secondo quasi una legge della selezione naturale animale, anche per l’uomo esiste la legge del più forte . Scrivendo impersonalmente dei vinti, la sua diventa un’osservazione lucida di un vero crudele ed immodificabile. Questo pessimismo spinge Verga alla critica della società borghese, ma anche alla sfiducia verso ogni tentativo di lotta o progresso. Neppure la creazione di uno Stato unitario e legiferante e le nuove teorie socialiste, portano al superamento del pessimismo. Per Verga la lotta quotidiana vige in tutta la sua crudeltà, soprattutto tra le classi sociali più povere. Egli crede nell’esistenza del fato,un’entità superiore a cui bisogna sottomettersi in quanto impossibile per l’uomo mutare l’assetto naturale e sociale in cui si trova inserito.

Verga vorrebbe una società statica,immobile senza possibilità di passaggi da una classe sociale all’altra. Proprio per questo considera “vinti” non coloro che continuano a vivere e a lottare restando legati al proprio ambiente come fa l’ostrica,che per non farsi prendere ,rimane attaccata al proprio scoglio,ma coloro che per curiosità,ribellione,ambizione tendono a migliorare. Verga non nega il progresso,anzi lo considera positivo solo se visto nella sua globalità ma negativo se ci soffermiamo a considerare il destino dei singoli individui. La visione di Verga del mondo è la più desolata di tutta la letteratura italiana,perfino di quella del Leopardi,che ha fede nella forza liberatrice della filosofia illuministica e nella lotta solidale degli uomini contro la natura.

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